La Mostra

Bisogna avere la forza di dare alle cose il giusto nome: tu cancro. E il coraggio di conoscersi e farsi riconoscere nella propria intima essenza: io donna. Questo ci rende liberi. A me la malattia ha regalato una nuova femminilità, più consapevole e matura. E “ammalarsi di femminilità” significa non riuscire più a fare a meno delle mie cicatrici.


La mostra

 Un corpo “graffiato”, a tratti evanescente. Un corpo osservato e giudicato. Una femminilità riscoperta, matura, tenace e orgogliosa. Oltre la malattia. E’ questo il filo conduttore della mostra fotografica “Tu cancro Io donna. Ammalarsi di femminilità”.

Curatrice e protagonista del percorso espositivo, Noemi Meneguzzo, una giovane insegnante di 39 anni. Una “cancer survivor”. Una donna che sa di avere il cancro ed è ancora viva. Le foto sono soprattutto opera di Raffaella Bolla e Daniela Dall’Ora. Co-curatore della mostra Marco Legumi.

Affrontare una malattia mortale richiede sempre una revisione delle proprie priorità e un confronto con i propri valori. Nel caso del cancro al seno, una donna si trova anche a dover ridefinire la questione della propria femminilità, della propria identità di genere e delle relazioni sociali, al di là degli stereotipi e della visione altrui. L’esperienza vissuta in prima persona, la convinzione che la femminilità continui a esistere oltre il cancro ha reso forte nella curatrice l’idea di una mostra fotografica, di una trama di immagini che spinga l’osservatore a riflettere sulla femminilità e-oltre la malattia.

La mostra si caratterizza per l’alternanza di immagini, parole e oggetti che conducono il visitatore in un viaggio tra anima, corpo e percezione del sé, un viaggio di cui non sarà semplice spettatore, ma spesso attore protagonista. Un percorso in cui sarà chiamato a interrogarsi, a guardare ma anche a guardarsi. Foto appese a pannelli, immagini a terra, adagiate su sedie e divani, scale di grigi, tripudi di colore, parole appese condurranno l’osservatore in un cammino dall’io, al chi sono, all’altro da sé attraverso una riflessione sull’identità di genere.

L’esposizione si snoda in quattro stanze, “Chi sono”, “Io”, “Per chi” e “E mi sono messa a ballare”, che approfondiscono il dialogo tra aspetti fisici della malattia, trattati in pannelli monocromatici, e psicologici, raffigurati a colori e con tecniche diverse.


Le stanze

I stanza. Chi sono

“Chi sono”. Il corpo cambia: le unghie assumono colorazioni molto singolari, il viso si gonfia, la pelle si macchia. I capelli esigono un taglio radicale, che diviene scelta “assurda”. Ma il paradosso sembra essere l’unica arma che un survivor ha a disposizione, e con cui dunque riesce a trasformare la rasatura in un “bagno turco”. I piedi non stanno nelle scarpe…dove, allora? E sul comodino c’è sempre quella protesi che maschera una mutilazione. Intanto ci si chiede quanti pezzi un chirurgo possa tagliare, quanti capelli possano cadere, quanto un corpo possa cambiare senza che la propria identità venga meno. Femminilità nascosta.
Ma ciò che cambia in una donna sono anche le relazioni piu’ care, nel presente, cosi come nel futuro – ovviamente prossimo. Ecco la sposa pensosa… tra le statistiche che affermano che solo il 43% delle donne ammalate di cancro ha come caregiver il proprio compagno ed “il pensiero di una persona, la cui esistenza giustifica la propria, (che) è di per sé una medicina che prolunga la vita” (Terzani)

Fotografe: Raffaella Bolla e Daniela Dall’Ora.

Rielaborazione grafica: Marco Legumi.


II stanza. Io

“Non mostrarti a… con la testa rasata”. Perché? Questa richiesta mi colpisce non in quanto malata, ma nella mia identità di donna. Il cranio glabro mi impedisce di essere donna? Cammino. E tu con me. Guardiamo ritratti scomodi perché dobbiamo inclinare la testa. Un movimento che ci fa ri-flettere e ci spinge a distinguere. Uomo. Donna? Uomo. Donna? Rockstar. Donna? Rockstar. Donna? Cosa distingue la mia femminilità? In che cosa mi identifico? Un percorso, ma alla fine la presa di coscienza e l’esplosione della (mia) bellezza. La femminilità va oltre ogni cicatrice e cranio calvo… “Stai ancora guardando il mio taglio di capelli, vero?”

Fotografe: Noemi Meneguzzo e Raffaella Bolla.

Rielaborazione grafica: Marco Legumi.


III stanza. Per chi

“I love you, ma non sono più felice con te”, “Ti ho già dedicato dodici ore venerdì”, “Hai trovato il modo per coprirti la testa!”, “Non ho tempo per visitarla”, “Lo sa che perderà tutte le sue unghie, vero?”, “Vuoi delle foto? Usa l’autoscatto”, “Perche’ vuole avere dei figli che possono essere come lei BRCA2+?”, “Ci sono delle belle parrucche”, “Si allunga la lista dei debiti che hai verso di lei”, “Se devi vivere, vivi. Se devi morire, muori”, “Non sei capace di prendere decisioni”, “La mia nuova segretaria è alta, bella e giovane”. Frasi, frecce. Colpiscono. Le lanciano “gli altri”, quelli che camminano e guardano. Quelli che “poverina-ha-un-brutto-male” mi considerano l’inverno della vita. O forse sono solo mie impressioni? Proiezioni delle mie paure?

Fotografi: Raffaella Bolla, Cinzia Burtini, Meri Cecchetto, Simone De Marchi, Denis Guzzo, Max Taurino.

Rielaborazione grafica: Marco Legumi.


IV stanza. … “E mi sono messa a ballare”

E-mail “Caro Marco, è vero che questa foto diventerà di dominio pubblico ma c’è un certo pudore a riguardo. E’ chiaro che la malattia e l’idea di mostrare il mio corpo presuppongono che abbia superato questa barriera, ma – non essendo un’artista e lavorando solo con le mie intenzioni – non so mai se i miei scatti “superino” la dimensione del nudo gratuito.
Quando, dopo la mastectomia nel novembre 2007, è arrivato il momento di togliermi le bende, ho abbassato le luci del bagno. Temevo di guardarmi allo specchio: avevo davanti a me l’infelice immagine di una donna che si scopre e quanto avevo letto su un “manuale per i sopravvissuti” che mi aveva dato l’ospedale. Invece… avevo 34 anni, mi sono guardata allo specchio e mi sono messa a ballare. Il mio corpo se lo poteva ancora permettere, potevo “sorridere” di ciò che avevo letto. Io mi sono sentita donna lo stesso e piena di vita.  La foto in realtà è stata scattata più di un anno dopo quella danza, nel 2009, dopo un periodo trascorso con la protesi nel reggiseno e magliette a collo più o meno alto. L’ho scattata prima dell’operazione di ricostruzione del seno, quasi per ricordare una parte di me, per non dimenticare che ero bella lo stesso, per ribadire che un uomo poteva anche scappare da questa apparenza ermafrodita ma io no, la guardavo e mi piaceva. Quello che voglio esprimere è un senso di forza, è la libertà, è la femminilità che prorompe con un’energia tutta sua.”

Fotografa: Noemi Meneguzzo.

Rielaborazione grafica: Marco Legumi.